I Mulini di Cepina

I Mulini di Cepina

Cepina era sede di numerosi mulini alimentati dall’acqua dell’Adda, che correva pressoché parallela alle varie frazioni del paese; in particolare, il nucleo a valle della località Bràch erano noto per la presenza di molte di queste strutture che funzionavano con l’acqua incanalata tramite una roggia detta agualar, in parte scavata nel terreno, in parte (quella terminale) costruita con assi di legno di larice rivestite in ferro (i scosòir). Secondo una perizia del 1844 la condotta misurava 315 metri di lunghezza, 2,50 di larghezza e 0,60 di profondità, mentre gli argini erano lunghi 130 metri.

L’acqua, portata da un’impalcatura in travi di legno, cadeva sulle grandi ruote che, girando, mettevano in moto i congegni di diversi macchinari: il torchio per ottenere l’olio dai semi di lino, il maglio idraulico con il mantice per la lavorazione dei metalli (qui fu lavorato il ferro per la costruzione delle artistiche cancellate dell’Ossario) e la mola per affilare gli utensili; l’albero del mulino, inoltre, azionava la gualchiera per il panno e la pila per l’orzo. In anni più recenti era testimoniata anche una segheria.

I mulini presenti nell’omonima località erano tre e appartennero ininterrottamente per secoli ai discendenti del tirolese Cristoforo Walzer, emigrato a Cepina nella seconda metà del ‘700; ancora nel 1926, infatti, Lia Valzer risultava qui proprietaria di due mulini (uno funzionante e uno cessato), mentre un terzo era stato ceduto ai De Gasperi.

In quell’anno la piccola contrada venne spazzata via a causa di una valanga: staccatasi dal monte Boer e precipitata proprio a ridosso della contrada Mulìn, essa causò la formazione di un lago la cui successiva esondazione asportò completamente i mulini con le granaglie stoccate, quattro case con l’intero mobilio, la centralina elettrica che riforniva il paese, la segheria, un macchinario per la lavorazione del legno. I proprietari in breve tempo scavarono nuovamente a mano l’agualar, ripararono gli edifici e rimisero in funzione quello che rimaneva delle attrezzature scampate alla distruzione.

La segheria cessò l’attività verso la metà degli anni ‘50 del secolo scorso, mentre i mulini furono mantenuti in funzione per un altro decennio; l’abbandono della coltivazione della segale fu determinante nel deciderne la sorte.

Presso la casa Valzer, discendenti dagli antichi proprietari dei mulini sono ancora visibili alcune mole e parti in legno che azionavano le macine. Parte delle attrezzature è stata donata dai proprietari al Museo Vallivo di Valfurva dove sono tuttora esposti.